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Droga alla guida: cosa dice davvero la legge italiana

Il tema della guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti è tornato al centro dell’attenzione in seguito alle modifiche introdotte dal nuovo Codice della Strada e dalle successive circolari interpretative. Il dibattito ruota attorno a un punto: è punibile la sola presenza di droga nell’organismo, anche in assenza di uno stato di alterazione psicofisica evidente? A fornire una risposta ci hanno adesso pensato i Ministeri dell’Interno e della Salute, con una circolare inviata a prefetti e questori che chiarisce i contorni applicativi della nuova disciplina.

La norma attuale e il superamento del concetto di alterazione

Il cuore del problema va cercato nella definizione giuridica di ciò che costituisce guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti. Il punto di riferimento è la versione aggiornata dell’articolo 187 del Codice della Strada.

Oggi non è più necessario dimostrare uno stato di alterazione psicofisica per configurare l’illecito. Basta che l’automobilista abbia assunto una sostanza illecita in un lasso di tempo compatibile con la guida, a condizione che sia ancora attiva nell’organismo al momento del controllo. In altre parole, la nuova norma presuppone una correlazione temporale tra l’assunzione della droga e la conduzione del veicolo, ma non richiede la prova di un’effettiva compromissione delle capacità cognitive o motorie.

L’evoluzione dell’articolo 187 del Codice della Strada

L’articolo 187 del Codice della Strada ha conosciuto nel tempo diverse modifiche. Da un’impostazione centrata sulla dimostrazione dell’alterazione psicofisica si è passati a un modello fondato sull’accertamento tossicologico oggettivo. In passato, la legge si limitava a sanzionare chi guidava in stato di alterazione, ma la prova si rivelava difficile da ottenere e fonte di contenziosi.

Con l’ultima riforma normativa il legislatore ha invertito l’onere della prova, chiedendo non tanto di dimostrare il comportamento alterato, quanto la presenza attiva della sostanza nel corpo del conducente.

L’effetto attivo della sostanza come criterio di giudizio

Lo spostamento dell’asse giuridico dal concetto soggettivo di alterazione alla presunzione oggettiva di effetto attivo della sostanza ha provocato reazioni contrastanti. La circolare, che va in scia del nuovo Codice della Strada, specifica che per ritenere integrata la fattispecie penale, bisogna dimostrare che la droga sia stata assunta in un arco temporale ravvicinato alla guida, tale da far supporre che stesse ancora producendo effetti farmacologici durante la conduzione del veicolo. In assenza di questa prova, il comportamento del conducente non è considerato penalmente rilevante.

L’incidenza delle diverse sostanze sui tempi di eliminazione

Uno degli aspetti più controversi riguarda la variabilità dei tempi di smaltimento delle sostanze stupefacenti a seconda della tipologia assunta. THC, cocaina, oppiacei, benzodiazepine e amfetamine seguono curve metaboliche diverse. Mentre alcune sostanze vengono eliminate nell’arco di poche ore, altre, come il principio attivo della cannabis, possono rimanere tracciabili per diversi giorni, soprattutto nei consumatori abituali.

I test di accertamento: saliva e sangue, non urine

Un altro elemento sul tavolo del confronto riguarda i metodi di accertamento dell’uso di droghe. I test più comuni, come l’esame delle urine, sono stati messi in discussione proprio perché in grado di rilevare tracce residue della sostanza anche molti giorni dopo l’assunzione, quando non è più attiva nel sistema nervoso.

Di conseguenza, il documento ministeriale ribadisce che solo i prelievi di sangue o di fluido salivare possono essere considerati affidabili per stabilire la presenza effettiva della sostanza in forma farmacologicamente attiva. La differenza tra presenza e effetto diventa dunque il cardine della valutazione.

La questione costituzionale e il principio di offensività

Sul fronte giurisprudenziale, la questione è tutt’altro che chiusa. Il Tribunale di Pordenone ha sollevato una questione di legittimità costituzionale, ritenendo che la nuova norma possa violare il principio di offensività, secondo il quale una condotta è punibile solo se produce un concreto pericolo per un bene giuridico tutelato, in questo caso la sicurezza della circolazione stradale.

Nel caso concreto, la persona risultata positiva agli oppiacei aveva dichiarato di aver assunto un farmaco contenente codeina nelle 24-72 ore precedenti, ma senza mostrare alcun sintomo di alterazione al momento dell’incidente.

Il nodo giuridico attorno alla legittimità costituzionale della nuova norma sarà allora sciolto dalla Corte Costituzionale, che dovrà pronunciarsi sulla compatibilità dell’articolo 187 riformulato con i principi della Carta. Il focus sarà su temi come la ragionevolezza della presunzione di colpevolezza, il rispetto della dignità personale e il diritto alla difesa tecnica e scientifica

Gli effetti sul mondo del lavoro e sulla patente professionale

Quando la sanzione colpisce un soggetto titolare di patente professionale – come conducenti di autobus, mezzi pesanti o taxi – le conseguenze possono essere impattanti sul piano lavorativo. La sospensione della patente può tradursi nella perdita del posto di lavoro, nell’impossibilità di rinnovare contratti o nella revoca dell’idoneità professionale. In questi casi, l’elemento oggettivo della positività tossicologica, anche in assenza di alterazione, può produrre effetti sproporzionati e mettere in discussione il principio di equilibrio tra sicurezza pubblica e diritto al lavoro.

La differenza tra farmaci e droghe

Il caso ha evidenziato un altro nodo delicato: la distinzione tra uso illecito di droghe e assunzione di farmaci regolarmente prescritti, alcuni dei quali – come gli ansiolitici o i medicinali a base di cannabinoidi o oppiacei – contengono principi attivi rilevabili nei test tossicologici.

In questo contesto, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha precisato che la legge non intende penalizzare i pazienti in terapia farmacologica, purché non si verifichi un’effettiva alterazione delle funzioni cognitive e motorie. La norma punta a colpire l’assunzione consapevole di sostanze vietate, non la cura medica regolarmente documentata e monitorata.

Il nuovo quadro normativo, pur essendo più severo nei confronti di chi fa uso di droghe prima di mettersi alla guida, non cancella la necessità di un accertamento tecnico accurato, capace di distinguere tra assunzione recente e remota, tra effetto attivo e semplice residuo metabolico, tra consumo illecito e terapia autorizzata.

Guidare con presenza di sostanze stupefacenti attive nel sangue, anche in assenza di sintomi evidenti, può comportare la perdita della copertura assicurativa in caso di incidente. Molte polizze auto prevedono clausole che escludono l’indennizzo qualora venga accertato che il conducente si trovasse sotto l’effetto di droghe.

In pratica l’assicurato può essere chiamato a risarcire personalmente i danni provocati a cose o persone.

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