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Incentivi auto, ancora polemica: il vero dramma è che non favoriranno il nostro Paese

Gli ecoincentivi auto stanno per tornare e, come spesso accade, lo fanno accompagnati da una scia di polemiche. Dal 15 ottobre gli automobilisti potranno beneficiare di sconti fino a 11 mila euro per l’acquisto di un’auto nuova, con l’obiettivo di spingere la transizione ecologica e rinnovare un parco auto italiano. Una notizia che potrebbe sembrare positiva, ma che porta con sé una contraddizione difficile da ignorare: gran parte dei fondi potrebbero andare in Cina.

I dettagli degli sconti

Il piano del governo prevede incentivi con due scaglioni legati all’ISEE. L’importo del bonus cambia raggiunge infatti gli 11.000 euro, in caso di reddito sotto i 30.000, che scende a 9.000 euro in caso di ISEE tra i 30.000 e i 40.000 euro. Per ottenerli, il meccanismo è lo stesso già visto nelle precedenti campagne: sarà il concessionario a gestire la pratica, scalando direttamente l’incentivo dal prezzo finale, che dovrà essere di massimo 40.000 euro iva compresa. Una formula semplice, che ha il merito di rendere immediato il risparmio per l’acquirente. La domanda che ci si pone in questi giorni però, è un’altra: a chi andranno davvero questi soldi?

Solo tre elettriche sono fatte in Italia

Qui sta il nodo più discusso. L’Italia continua a perdere posti di lavoro all’interno della produzione auto. Se un tempo era un polo fondamentale dell’industria europea, ora pochissimi modelli vengono prodotti (almeno in parte) nel Bel Paese. Di questi le elettriche sono ancora meno, tre per essere precisi: Fiat 500e, Jeep Compass e DS8. Le ultime due, però, hanno prezzi che superano i limiti previsti dagli incentivi, rendendole di fatto escluse dal programma.

Di conseguenza, l’unica vera elettrica “Made in Italy” che rientra nei parametri è la 500e prodotta nel famoso stabilimento di Mirafiori. A questa si aggiunge la DR1, modello cinese che viene però unicamente allestito in Italia. Il risultato è che, nonostante i 600 milioni messi a disposizione dal governo, la maggior parte dei fondi finirà a sostenere case automobilistiche straniere. Una contraddizione che ha scatenato le critiche di chi sperava in una politica industriale capace di difendere davvero il comparto nazionale.

Quanti soldi rimangono

A questo punto facciamo due conti, anche solo per ipotesi. Di Fiat 500e ne vengono vendute in Italia una media di 7 al giorno, ma ipotizzando la corsa agli ecoincentivi ci si può aspettare numeri sensibilmente maggiori. Se ci si dovesse aspettare una vendita di circa 20 vetture nella giornata in cui si presume finiscano gli ecoincentivi, ovvero quasi il triplo della media giornaliera, appena 200 mila euro circa dei 600.000 resterebbero in Italia.

Se invece si arrivasse a cento 500e immatricolate quotidianamente – uno scenario al momento piuttosto ottimistico – i soldi che rimarrebbero nel Paese arriverebbero a circa un milione. Una cifra non trascurabile, ma che, rapportata al totale dei fondi, dimostra quanto sia limitato l’impatto degli incentivi sulla nostra infrastruttura industriale.

Ed è proprio questo il vero paradosso: si investono risorse pubbliche per favorire la mobilità sostenibile, ma senza un piano industriale parallelo gran parte di quei soldi finiranno a sostenere fabbriche e occupazione oltreconfine. Gli ecoincentivi, insomma, tornano a dividere: se da una parte sono una boccata d’ossigeno per chi vuole cambiare auto e ridurre i costi di gestione, dall’altra mettono a nudo tutta la fragilità del settore automotive italiano, incapace di rispondere con un’offerta ampia e competitiva.

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