L’obiettivo di Trump era far tornare a viaggiare ad alta velocità la locomotiva americana e con metodi non ortodossi ci è riuscito, frenando l’ascesa dei colossi asiatici ed europei. I dazi hanno indebolito i major giapponesi, alimentando l’incertezza sulle prospettive del settore delle due e quattro ruote. Altri costruttori, compreso Stellantis, sono corsi ai ripari, piegandosi alle imposizioni del tycoon e impiantando stabilimenti sul territorio americano, voltando le spalle ad altri Paesi che avevano sempre offerto dei benefici. Nel braccio di ferro a soccombere sono le principali Case auto del Sol Levante che hanno registrato un crollo complessivo del 27,2% nel periodo aprile-settembre rispetto all’anno precedente.
I numeri allarmanti sono emersi da una analisi condotta dall’agenzia Kyodo, manifestando un’inversione di tendenza rispetto al 2024 e un crollo generalizzato per la prima volta dall’emergenza Covid-19. I costruttori nipponici sono riusciti a difendersi bene prima dei dazi, in particolar modo Toyota, con offerte mirate su mercati emergenti. Con le imposizioni di Trump, rivela lo studio, le tariffe imposte dagli Stati Uniti hanno eroso i guadagni complessivi dei sette costruttori giapponesi per una somma stimata di 1.500 miliardi di yen, equivalenti a circa 8,4 miliardi di euro.
I produttori più in crisi
Nissan è l’emblema del fallimento elettrico. Con troppo ottimismo i vertici della Casa di Yokohama hanno stravolto la gamma, puntando su EV che non hanno fatto presa. L’escalation dei dazi ha portato al rischio fallimento con un succedersi di amministratori delegati che non hanno ancora trovato una quadra. Continuano i tagli di personale e le riduzioni nella catena di approvvigionamento globale. La carenza di semiconduttori e il rallentamento della domanda sul mercato delle auto elettriche hanno determinato un quadro economico angosciante. Non vivono momenti tranquilli nemmeno i vertici di Mitsubishi e Mazda che devono fronteggiare i venti di crisi che partono da Washington.
L’accordo siglato a settembre tra Usa e Giappone per ridurre l’imposta sulle importazioni di auto al 15%, non ha risolto tutti i problemi: l’aliquota rimane sei volte superiore al tasso del 2,5% in vigore prima di aprile, e continuerà a dare una pressione importante sui margini di profitto. Inoltre, i brand nipponici hanno iniziato a subire il pregiudizio della crescita esponenziale di nuovi major cinesi che offrono auto altamente tecnologiche a prezzi più vantaggiosi. Del resto la Cina appare quello che è stato il Paese del Sol Levante a livello industriale negli anni ’70.
Sorride solo Toyota
In un panorama nefasto per le Case nipponiche, il marchio delle tre ellissi ha fortificato la sua posizione di primo costruttore al mondo di auto per volumi di vendita, subendo comunque l’effetto delle tariffe imposte dal presidente degli Usa. Il calo dell’utile operativo di circa 900 miliardi di yen (5,05 miliardi di euro), ha acceso l’allarme sulle operazioni in Nord America. Secondo gli analisti i costruttori minori non saranno in grado di assorbire lo shock tariffario rispetto ai competitor più strutturati.
La conseguenza per gli automobilisti è un progressivo aumento dei prezzi. Per alleggerire questa pressione le Case costruttrici potrebbero essere tentate da siglare alleanze più strette con i brand rivali, ritirare alcuni modelli dai listini di vendita, o addirittura ridimensionare la propria presenza sul suolo americano. Per ora Trump non appare preoccupato dalle eventuali conseguenze dei dazi sul commercio internazionale.