Se c’è una cosa che in Italia resiste a ogni cambiamento è l’amore per l’auto. Nessuno vuole rinunciarci. Lo dicono i dati, lo conferma il traffico, lo si vede ogni mattina in tangenziale. Ma attenzione: questo non vuol dire che si stiano vendendo più vetture nuove. Anzi, il contrario. Secondo l’indagine annuale di Aniasa e Bain & Company, il mezzo privato è tornato prepotentemente al centro delle abitudini di mobilità. La gente ha ripreso a usarlo come mezzo principale per spostarsi, senza troppe esitazioni. Però c’è un “però”: non c’è voglia (o possibilità) di spendere.
Il nuovo in seconda fila
Il mercato delle nuove immatricolazioni langue, mentre l’usato vola. Perché? La risposta è semplice: il prezzo. Troppe incertezze, stipendi fermi, e la paura di sbagliare investimento. Il 35% di chi sceglie modelli cinesi o asiatici lo fa per una questione di costo.
In un contesto del genere, non stupisce che le ibride abbiano raggiunto il 50% del mercato nel primo trimestre del 2025. Sono ritenute il compromesso perfetto: ti senti un po’ green, ma senza gli oneri dell’elettrico puro. BEV che rimangono ferme al palo: appena il 5%, soprattutto al Nord e tra le aziende. Nel Sud Italia e tra i privati, la penetrazione reale è sotto il 5%: praticamente invisibile.
Qualche segnale di vita arriva solo dai modelli compatti, quelli da città. Le full electric di fascia alta? Ferme al palo. Troppe incognite, spese alte, ricariche non sempre disponibili (un nuovo accordo potrebbe dare slancio). E se pensi che almeno con la fine del diesel ci sia stato un beneficio ambientale, ti sbagli. Le emissioni medie di CO₂ restano sopra i 115 g/km, addirittura maggiore rispetto al 2015. Anche a livello europeo le BEV sono ferme da oltre tre anni, nonostante la crescita della rete di infrastrutture.
Settore a un bivio
Il dato è eloquente: più che per convinzione, la transizione sta avvenendo per pressione normativa. Lo sancisce Alberto Viano, presidente Aniasa: “L’industria automobilistica europea si trova dunque, come evidenziato dallo studio, di fronte a un bivio. La combinazione tra vincoli normativi stringenti (soprattutto sulla transizione elettrica), domanda stagnante e instabilità geopolitica impone un profondo ripensamento. La frammentazione dell’offerta, la bassa saturazione degli impianti e l’assenza di una visione unitaria minacciano la competitività del continente nel medio periodo”. Il Vecchio Continente sembra confuso: vuole fare la rivoluzione, ma non ha ancora capito come reggerla industrialmente.
A rilanciare il messaggio è Gianluca Di Loreto, Partner di Bain & Company: “Il settore è oggi chiamato a confrontarsi con una realtà in profondo cambiamento: la stagnazione della domanda, le trasformazioni tecnologiche e le tensioni geopolitiche impongono un cambio di paradigma. Il comparto automotive non può più contare sulla crescita come driver naturale. In questo contesto, solo chi saprà ripensare la propria presenza geografica, rivedere la catena del valore e investire in flessibilità potrà restare competitivo nel medio-lungo termine. L’Europa, in particolare, deve ridefinire con decisione e coraggio il proprio ruolo industriale”. L’auto resta centrale nella vita degli italiani, ma la mobilità è in una fase di transizione incerta, timida, e per nulla lineare. Il prezzo comanda, il nuovo spaventa, l’elettrico non convince. E chi guida il settore? Per ora, nessuno.