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Guida sotto stupefacenti, tre ricorsi alla Corte Costituzionale smontano la riforma

La riforma del Codice della Strada approvata a fine 2024 ha cambiato il baricentro della disciplina sulla guida dopo l’assunzione di sostanze stupefacenti, spostando l’asse dall’accertamento clinico dello stato di alterazione alla mera positività del test. L’effetto è stato immediato: procure e tribunali hanno iniziato a segnalare difficoltà applicative mentre tre magistrati, in sequenza ravvicinata, hanno rimesso la nuova norma al vaglio della Corte Costituzionale.

Il primo impulso è arrivato da Pordenone, dove il giudice per le indagini preliminari ha contestato la ragionevolezza del nuovo impianto; a ruota sono giunti i provvedimenti di Macerata e Siena, che hanno rafforzato il quadro di criticità, mettendo in fila incoerenze sistemiche e sproporzioni sanzionatorie. La vicenda, al crocevia tra diritto penale della circolazione e scelte di politica pubblica sulla sicurezza stradale, è diventata un test di tenuta costituzionale della riforma.

Il nodo normativo: dalla prova dell’alterazione alla semplice positività

Prima della riforma, la giurisprudenza richiedeva due verifiche oggettive: l’assunzione di droga e l’attualità di un’alterazione alla guida; il bene protetto, la sicurezza stradale, veniva tutelato come reato di pericolo concreto, ancorato cioè a una compromissione effettiva delle capacità psicofisiche del conducente.

Con la legge 177 del 2024, quell’aggancio clinico è stato espunto e la fattispecie è stata riletta come punizione della guida “dopo aver assunto” stupefacenti, anche quando gli effetti farmacologici siano ormai svaniti. È un passaggio dirimente, ricostruito dagli stessi provvedimenti di rimessione e dalla ricognizione ufficiale pubblicata in Gazzetta, che ricordano come il “testo previgente” imponesse l’accertamento dello stato di alterazione in atto e la sua derivazione causale dall’assunzione.

Il primo strappo: Pordenone manda la riforma alla Consulta

Il caso simbolo si è acceso a Pordenone, dove il Tribunale ha investito la Corte Costituzionale del vaglio sulla compatibilità del nuovo impianto con gli articoli 3 e 25 della Carta. Gli atti raccontano di una conducente risultata positiva agli oppiacei a distanza di tempo dall’evento, con il sospetto – tipico nelle fattispecie di positività differita – che la traccia biologica non coincidesse con un’alterazione attuale della guida.

L’ordinanza sottolinea il rischio di punire condotte prive di offesa concreta, spostando l’asse dalla tutela della circolazione alla sfera personale dell’utente, ed evidenzia come la positività a freddi rischi di trasformare l’infrazione in un illecito di pura memoria biologica anziché di pericolo per la strada. Il rinvio è stato reso noto a metà aprile 2025 dalle principali agenzie e testate nazionali e ha dato il via al contenzioso di sistema.

Gli altri due ricorsi: Macerata e Siena e i paradossi applicativi

A stretto giro si sono aggiunte le ordinanze di Macerata e di Siena. Nel provvedimento del 28 marzo 2025, il Tribunale marchigiano mette in luce un cortocircuito logico: senza ancoraggio temporale né requisito di alterazione, la norma finisce per colpire anche chi ha assunto sostanze giorni – se non settimane – prima di mettersi alla guida, sanzionando residui plasmatici innocui rispetto alla condotta di guida.

Il documento cristallizza il passaggio dalla logica del pericolo concreto a quella del sospetto ex ante, dove basta il biomarcatore per integrare il reato. Il 18 aprile 2025, da Siena arriva un’ulteriore rimessione: qui il giudice sottolinea la lesione del principio di offensività e la sproporzione del trattamento penale rispetto a condotte prive di attualità lesiva, suggerendo il ripristino dell’accertamento clinico-funzionale, idoneo a misurare l’idoneità alla guida nel momento in cui si è al volante.

La toppa amministrativa della circolare dell’11 aprile 2025

Nel tentativo di ricondurre a razionalità l’applicazione della riforma, i Ministeri dell’Interno e della Salute hanno emanato l’11 aprile 2025 una circolare che orienta gli operatori a contestare il reato solo in presenza di effetti attivi durante la guida e di un’assunzione prossima al momento del controllo.

In altre parole, il documento amministrativo reintroduce un vaglio di alterazione, smentendo lo spirito letterale della novella e prendendo posizione contro l’idea che basti una positività a distanza. La dottrina ha subito notato il paradosso: ciò che il legislatore ha stralciato dal testo rientra per via amministrativa, con il rischio però di uno scollamento tra legge e prassi, poiché una circolare non ha forza normativa e non può riscrivere l’articolo 187.

I profili di incostituzionalità: uguaglianza, legalità, offensività

Il trittico di rimessioni intreccia più piani. C’è il principio di uguaglianza, evocato per segnalare la disparità tra il trattamento amministrativo di chi guida senza patente e la risposta penale per chi guida dopo un’assunzione remota di stupefacenti ma senza alterazione, con esiti potenzialmente più severi per la seconda condotta nonostante la minore pericolosità sociale attuale.

C’è il principio di legalità in senso sostanziale, che esige tipicità e determinatezza: la vaghezza del dopo aver assunto senza coordinate temporali né soglie di rilevanza rischia di produrre un illecito sganciato da una condotta attuale e di scivolare nel terreno del diritto penale d’autore.

E c’è il principio di offensività, che chiede alla norma penale di colpire fatti effettivamente pericolosi per il bene protetto e non meri stati biologici privi di significato lesivo nella circolazione. Le ordinanze e le rassegne specialistiche che le commentano convergono su questo punto, chiamando la Consulta a rimettere al centro il nesso tra condotta e pericolo concreto.

Se la persistenza biologica non coincide con la pericolosità alla guida

Sul piano tecnico-scientifico, il cuore del problema è la diversa finestra di rilevazione dei metaboliti rispetto alla durata dell’effetto psicoattivo: molte sostanze restano tracciabili nella saliva, nel sangue o nelle urine per giorni o settimane, oltre l’estinzione degli effetti che compromettono la guida.

Senza un esame clinico-funzionale dello stato del conducente e senza un orizzonte temporale definito per l’assunzione, la positività diventa un indizio lontano, non per forza correlato alla riduzione dell’attenzione, dei riflessi o delle capacità motorie nel momento del controllo stradale. È la frattura evidenziata dai ricorsi e ripresa anche nel dibattito pubblico, dove si registra un consenso trasversale sull’esigenza di riallineare il dato biologico all’offesa stradale.

Che cosa decideranno i giudici, i possibili esiti

Il ventaglio degli esiti non è scontato. La Corte Costituzionale potrebbe dichiarare incostituzionale la norma nella parte in cui non richiede l’accertamento dell’alterazione e ripristinare il perimetro del pericolo concreto.

Potrebbe optare per una lettura costituzionalmente orientata, cioè una interpretazione conforme che ri-aggiunga il requisito clinico come elemento implicito della fattispecie, salvando il testo ma vincolando i giudici di merito a un accertamento effettivo di idoneità alla guida. Oppure, in un’ipotesi intermedia, potrebbe segnalare al legislatore la necessità di introdurre limiti temporali, soglie e protocolli diagnostici più raffinati per distinguere tra positività residuali e alterazioni di rilievo.

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