L’obbligo di indossare la cintura di sicurezza è una regola di circolazione che coinvolge tutti gli occupanti del veicolo e che attribuisce al conducente un ruolo di garante della sicurezza a bordo. Questa posizione, che nasce dall’articolo 172 del Codice della Strada e che si è andato precisando nella giurisprudenza degli ultimi anni, può arrivare fino alle estreme conseguenze sul piano penale. Se il passeggero viaggia senza cintura, muore in seguito a un incidente e le perizie dimostrano che l’uso del dispositivo avrebbe potuto evitare o attenuare il decesso, al conducente può essere contestato anche l’omicidio stradale perché non ha preteso il rispetto di quella regola di base.
Si tratta di uno scenario che la Corte di Cassazione ha già esaminato, in particolare con la sentenza 46566 del 18 dicembre 2024, nella quale i giudici di legittimità hanno affermato che il guidatore “doveva accertare che tutti i trasportati indossassero il dispositivo di sicurezza” e riconosciuto la sua responsabilità per la morte del passeggero sbalzato fuori dall’abitacolo.
L’obbligo per tutti di indossare la cintura di sicurezza
L’articolo 172 del Codice della Strada impone che la cintura di sicurezza venga indossata dal conducente e da tutti i passeggeri, anteriori e posteriori. Chiarisce che nei veicoli destinati al trasporto di persone l’obbligo deve essere anche reso noto, tramite cartelli o comunicazioni, proprio perché nessuno possa sostenere di non esserne a conoscenza. È una norma che nasce in ambito amministrativo, con sanzioni pecuniarie e decurtazione di punti, ma che contiene in sé una regola di prudenza: chiunque porti altre persone in auto deve vigilare affinché quella regola sia rispettata.
Quando poi entra in gioco l’articolo 589-bis del Codice penale, introdotto con la legge 41 del 2016 per punire più severamente le morti causate sulla strada, questa regola di prudenza diventa il parametro con cui valutare la colpa del conducente. Se l’automobilista parte sapendo che il passeggero non è legato oppure se avrebbe potuto accorgersene con l’ordinaria attenzione che si pretende da chi guida, quella condotta omissiva entra nella catena causale che ha portato alla morte e consente al pubblico ministero di contestare l’omicidio stradale. In altre parole, il fatto che il passeggero fosse adulto, consenziente o persino ostinato non basta a sciogliere il dovere di vigilanza del conducente, perché è proprio il guidatore che decide se il veicolo deve muoversi o restare fermo.
Il conducente come garante della sicurezza del trasportato
Le decisioni depositate tra la fine del 2024 e l’inizio del 2025 hanno fatto un passo in più rispetto a precedenti più prudenti. La Suprema Corte ha infatti accolto i ricorsi del pubblico ministero contro sentenze assolutorie dei giudici di merito: non è sufficiente dire “il passeggero non aveva la cintura” per escludere la responsabilità del conducente. È il contrario: la mancanza della cintura è proprio l’elemento che richiama in causa il guidatore, perché dimostra che il controllo preventivo non è stato fatto o non è stato fatto con la dovuta fermezza.
In una delle sentenze viene anche precisato che – in caso di rifiuto del passeggero – il conducente è tenuto a rifiutare il trasporto cioè a non partire con una persona che viaggia in condizioni di rischio, segno che i giudici della Corte di Cassazione considerano esigibile questa condotta. Se quindi l’incidente avviene e il passeggero muore perché – non essendo trattenuto – viene sbalzato fuori o subisce un urto violento contro gli elementi interni dell’abitacolo, la Suprema Corte riconosce che la morte è riconducibile anche alla condotta omissiva del conducente. Da qui la qualificazione in omicidio colposo nella forma dell’omicidio stradale.
Le dinamiche che portano alla condanna
Molte delle cause che sono arrivate in Cassazione riguardano il passeggero seduto dietro, al centro o sul lato opposto all’urto, che in seguito all’impatto è stato proiettato in avanti o addirittura fuori dal veicolo. Sono dinamiche in cui il mancato trattenimento rende il corpo una massa libera che accelera in modo indipendente rispetto al veicolo.
Nelle sentenze si legge che “l’evento era prevedibile e prevenibile con l’uso della cintura”, formula che rafforza la colpa del conducente perché indica che non si è trattato di una conseguenza eccezionale. La prevedibilità è la chiave: se un evento era prevedibile e il conducente non ha adottato la condotta doverosa per evitarlo, la responsabilità penale è piena. Le fonti più aggiornate sulla sicurezza in auto ribadiscono che i passeggeri posteriori senza cintura possono diventare essi stessi un pericolo anche per chi è seduto davanti.
Il cuore della questione: il nesso causale
Il passaggio decisivo, come sempre nel diritto penale della circolazione, è quello del nesso causale. Non è sufficiente infatti individuare una violazione, bisogna dimostrare che da quella violazione è derivato l’evento morte. Per farlo i giudici usano la cosiddetta prova controfattuale: si chiedono cosa sarebbe successo se la condotta doverosa fosse stata tenuta. In questo tipo di incidenti la risposta è chiara, perché la medicina legale e la dinamica degli urti ci dicono da decenni che la cintura è l’elemento che impedisce l’espulsione dal veicolo, limita la decelerazione del torace e riduce gli impatti con parabrezza, cruscotto e sedili anteriori.
Se il passeggero è stato sbalzato fuori dal lunotto posteriore o ha riportato lesioni da impatto frontale incompatibili con il trattenimento, il perito può affermare con ragionevole certezza che l’uso della cintura avrebbe evitato l’esito fatale. In quel momento la condotta del conducente, che non ha imposto il dispositivo, diventa causalmente efficiente e l’omicidio stradale si configura. Se invece la dinamica è talmente violenta da rendere irrilevante qualsiasi presidio, il reato può ridimensionarsi, ma questa è un’eccezione e non la regola. Le sentenze su questa materia mostrano che i giudici sono sempre più inclini a riconoscere alla cintura una funzione salvifica e quindi a valorizzarne l’assenza.
Concorso di colpa del passeggero e responsabilità del conducente
Un altro profilo che spesso genera equivoci è quello del concorso di colpa. È vero che il passeggero senza cintura è autore di una condotta imprudente e il giudice civile, quando liquida il risarcimento, può ridurre l’importo proprio perché la vittima ha contribuito ad aggravare il danno. Sul piano penale la colpa del passeggero non cancella però quella del conducente se quest’ultima ha avuto un ruolo determinante. La Corte di Cassazione lo ha detto con chiarezza: la condotta del trasportato può incidere sulla misura della pena o sul trattamento sanzionatorio, ma non elide il fatto che chi aveva la posizione di garanzia ha omesso di esercitarla.
Il sistema penale della strada, specie dopo la riforma del 2016, è costruito attorno all’idea che chi conduce un veicolo è un soggetto qualificato, sottoposto a un livello di diligenza superiore a quello degli altri utenti. È quindi del tutto coerente che al conducente venga chiesto di impedire che un passeggero viaggi senza cintura di sicurezza, anche quando quest’ultimo avrebbe dovuto pensarci da solo.