Quando si parla di transizione ecologica nel settore automotive, la retorica tende spesso a dipingere un percorso lineare, quasi inevitabile, verso un futuro fatto di elettriche e zero emissioni. Ma, come spesso accade quando le cose si fanno davvero complicate, la realtà si prende la sua rivincita, mostrando frizioni, limiti e difficoltà che non si possono semplicemente ignorare. Lo conferma con chiarezza l’Anfia, l’associazione nazionale filiera industria automobilistica, che nella recente consultazione pubblica indetta dalla Commissione Europea ha lanciato un grido di allarme: i target di riduzione delle emissioni di CO2 al 2030 e al 2035, così come sono stati fissati, non sono raggiungibili. E soprattutto, non possono essere pagati interamente dalle spalle dell’industria.
Non spetta solo alle aziende
In un’epoca in cui l’ideale di “green” pare essere un dogma da rispettare a tutti i costi, l’Anfia fa notare un punto semplice ma spesso dimenticato: la transizione non dipende solo dalle aziende. È una partita a scacchi che coinvolge molteplici attori, fattori e interventi pubblici. E, fino a oggi, su questo versante, le risposte sono state inadeguate, insufficienti e frammentarie. Non si può quindi pretendere che l’intera filiera industriale si faccia carico di un fardello che invece dovrebbe essere condiviso in modo più equilibrato.
La consultazione, partita lo scorso luglio e appena conclusasi, rappresenta più di una semplice raccolta di opinioni: è un momento cruciale per mettere in campo una massa critica di voci autorevoli, da far pesare sul tavolo di Bruxelles. L’Anfia ha ribadito con forza la necessità di un approccio più sfumato, che distingua chiaramente tra due categorie fondamentali: le autovetture e i veicoli commerciali leggeri.
Le difficoltà dell’elettrico
Per questi ultimi, in particolare, l’adozione della tecnologia elettrica è tutt’altro che semplice. La filiera B2B, quella delle imprese che usano quotidianamente veicoli commerciali, deve confrontarsi con un TCO (Total Cost of Ownership) ancora troppo elevato per poter puntare massicciamente sull’elettrico. Questo significa che il mercato non è ancora pronto a sostenere costi così alti senza un intervento più deciso e coordinato da parte delle istituzioni.
L’Anfia suggerisce anche di introdurre una flessibilità normativa che riconosca come a zero emissioni quei veicoli alimentati esclusivamente con carburanti rinnovabili. Un segnale di pragmatismo che rischia di essere trascurato nel fervore delle direttive ambientali, ma che invece potrebbe giocare un ruolo importante nel percorso di decarbonizzazione. E ancora, si chiede che le normative CO2 siano coerenti con altre politiche europee come l’ETS (Emission Trading System) e la RED (Renewable Energy Directive), così da riconoscere i benefici concreti dei carburanti non fossili.
Rinegoziare il target per i più piccoli
Un altro punto caldo riguarda l’“utility factor”, un parametro che incide negativamente sui veicoli ibridi plug-in (PHEV) e quelli ad autonomia estesa (REEV). Queste tecnologie, lungi dall’essere un compromesso di serie B, rappresentano una tappa fondamentale per la transizione verso la mobilità sostenibile, e penalizzarle significherebbe chiudere una porta a soluzioni che potrebbero alleviare il percorso.
Infine, l’Anfia ha posto l’accento sulla necessità di prevedere la possibilità, per i piccoli costruttori, di rinegoziare i target. Un punto che va ben oltre la semplice questione numerica, toccando la sopravvivenza stessa di molte realtà industriali europee, fondamentali per l’ecosistema dell’auto ma spesso messe ai margini da regolamentazioni troppo rigide e uniformi.
L’auspicio dell’associazione è chiaro: “Nei prossimi mesi, il lavoro della Commissione e degli esperti si traduca in misure concrete ed efficaci che bilancino la tutela ambientale con la salvaguardia della competitività della filiera industriale europea”. Perché altrimenti si rischia che una transizione che dovrebbe essere una sfida condivisa, diventi un campo minato in cui a pagare il prezzo più alto sarà l’industria stessa, con ricadute pesanti sull’economia, sull’occupazione e sull’innovazione.