L’Italia apre in modo netto ai biocarburanti e prova a ritagliarsi un ruolo da protagonista in Europa. Nel futuro dell’auto ora i vertici istituzionali non parlano più solo di elettrico, ma la narrativa si allarga ad altre possibilità finora rimaste in secondo piano. A segnare il cambio di passo è il decreto pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 12 novembre 2025, in cui l’omologazione e l’installazione dei sistemi che permettono ai motori diesel di utilizzare biocarburanti viene regolamentata in modo preciso.
Uno sguardo a una transizione energetica diversa, variegata e accessibile, senza la necessità di rivoluzionare il parco circolante, che rimane uno dei più anziani d’Europa.
Cosa dice il decreto
Il provvedimento in questione è il Decreto ministeriale del 2 ottobre 2025, pubblicato ufficialmente il 12 novembre, il quale regola le “procedure per l’omologazione e l’installazione di sistemi di trasformazione su veicoli a motore ad accensione spontanea per consentire l’utilizzo di biocarburanti nel sistema di propulsione originale”. In altre parole permette ai motori diesel di essere modificati, ovviamente nel rispetto delle norme tecniche, per funzionare con biocarburanti come l’HVO (olio vegetale idrotrattato) o altre alternative avanzate.
Il punto chiave è che si parla di veicoli già circolanti, non solo di nuovi modelli. Significa che chi possiede un diesel — dal privato che usa l’auto ogni giorno agli operatori dei mezzi pesanti — potrà installare un kit omologato e continuare a utilizzare il proprio mezzo riducendo drasticamente le emissioni. Un passo considerato strategico anche da Eni, che negli ultimi anni ha investito nelle bioraffinerie di Gela e Porto Marghera.
Una novità culturale
Il decreto rappresenta un cambio culturale profondo. Per anni il dibattito sulla mobilità sostenibile si è polarizzato: elettrico da una parte, motori termici dall’altra. L’apertura italiana ai biocarburanti rimette in gioco un terzo percorso, ibrido non nel powertrain, ma nella filosofia. Per la Commissione europea i biocarburanti avanzati rientrano tra le soluzioni riconosciute per abbattere la CO₂, soprattutto se provenienti da scarti, residui agricoli e materie prime non in competizione con la filiera alimentare.
L’Italia, che con l’elettrico fatica più di altri Paesi — per costi, infrastrutture e parco auto anziano — prova così a costruire una transizione realistica, accessibile e tecnologicamente già pronta. È un segnale politico e industriale: la decarbonizzazione non può passare da una sola tecnologia. E il fatto che il nostro Paese sia il primo in Europa a muoversi su questa strada lo conferma.
Una svolta per i mezzi pesanti
Il settore che potrebbe beneficiare di più è quello dei trasporti pesanti, storicamente complesso da elettrificare. Autobus, camion, mezzi pubblici: tutto ciò che oggi non può fermarsi per ore in ricarica potrebbe ridurre drasticamente le emissioni senza cambiare l’intero sistema logistico. L’utilizzo dei biocarburanti avanzati permette infatti:
- una drastica riduzione di emissioni di CO₂ rispetto al diesel tradizionale;
- zero modifiche all’autonomia o ai tempi di rifornimento;
- costi d’ingresso inferiori rispetto a un’alternativa elettrica o ibrida;
- una scelta sostenibile e responsabile nel non creare rifiuti di auto ancora funzionanti.
Per il trasporto pubblico locale, spesso bloccato da bilanci ridotti e mezzi con oltre 10 anni di servizio, questa soluzione potrebbe davvero rappresentare una boccata d’aria. Lo stesso discorso vale per le flotte aziendali e la logistica dell’ultimo miglio.