La EX90 nasceva con l’idea di mettere la sicurezza al centro, ma i primi mesi hanno mostrato quanto un’auto moderna sia, prima di tutto, un software che gira su ruote. Infotainment capriccioso, assistenze poco coerenti, qualche sensore che non comunicava come doveva: piccoli granelli che inceppano un meccanismo molto più grande. L’aggiornamento previsto dovrebbe migliorare di gran lunga le cose, perché dietro lo schermo e le funzioni c’è un computer che consente logiche più raffinate, più veloci, più prevedibili nella risposta. L’architettura elettrica più prestante aiuta sui tempi di ricarica, ma è il “cervello” a fare davvero la differenza, con margine per migliorare nel tempo grazie agli aggiornamenti via etere. È l’auto come piattaforma, non il contrario, e su EX90 questo si vede più nitidamente.
In casa Volvo l’annuncio parla chiaro: per la EX90 oltre a una nuova architettura da 800 volt per una ricarica migliorata è in arrivo un processore basato su Drive AGX Orin di Nvidia, con nuova ondata di funzioni di sicurezza e supporto alla guida che sfruttano meglio i dati dei sensori e le reti neurali a bordo. A contorno, compaiono funzioni utili nel quotidiano, come la gestione più intelligente delle manovre e interventi automatici pensati per i casi in cui chi guida non reagisce.
Volvo sta anche introducendo una serie di nuove funzionalità nell’EX90 incentrate sulla sicurezza. La principale è l’Emergency Stop Assist, che consente all’auto di arrestarsi in modo controllato nella propria corsia se il conducente non risponde a una serie di avvisi. Volvo prevede che questa funzione sia utile in situazioni in cui il conducente ha un’emergenza medica e non è più in grado di controllare il veicolo. È un messaggio semplice: più potenza di calcolo, più margine per algoritmi migliori, meno compromessi in scenari complessi. Questo, alla prova della strada, significa che l’assistente non “strappa”, riconosce prima, interpreta meglio, e lascia chi è al volante meno spiazzato dagli imprevisti.
Tra le novità spiccano anche interventi automatici mirati agli scenari meno favorevoli, come la sterzata d’emergenza in condizioni di scarsa visibilità, e parcheggi assistiti gestiti con più precisione. È un pacchetto che prova a rendere la vita a bordo meno stressante, con meno beep inutili e più intelligenza di contesto. E se oggi certe funzioni sembrano già mature, la vera partita si gioca sulla loro capacità di imparare sul campo, affinarsi, ridurre falsi allarmi e tagliare le incertezze nella gestione delle manovre.
Cosa significa davvero “più potenza di calcolo” per chi guida
Spesso quando si parla di processori e centraline si rischia di perdere il senso pratico. Quella potenza in più si traduce in margini operativi maggiori quando la scena cambia in fretta: un pedone che intravede un varco e attraversa, un mezzo pesante che copre i segnali, una curva in uscita di galleria con luce accecante. Se l’auto “capisce” prima, interviene con più sicurezza e delicatezza, lasciando una sensazione di naturalezza che placa l’ansia. È lì che si vede la differenza tra un ADAS che viene usato ogni giorno e uno che resta spento e si accende solo occasionalmente, magari funzionando non come ci si aspetta.
Nel lungo periodo, le piattaforme di calcolo diventano garanzia di evoluzione, e funzioni che oggi sono borderline domani rientreranno nel “normale”, grazie alle nuove tecnologie. È una corsa che non ha un traguardo definitivo, ma ha tappe misurabili: meno falsi allarmi, migliore centraggio, gestione più intelligente dei sorpassi, sensori più affidabili in caso di condizioni meteorologiche avverse e così via. L’EX90 aggiornata è un buon esempio di come un costruttore usi l’hardware per sbloccare software più maturo. Il tema della fiducia passa anche dal modo in cui l’auto comunica: una grafica di bordo che racconta cosa vede, quando intende intervenire e che margine chiede a chi guida
Dietro le quinte, il salto di calcolo apre una porta sul futuro: più banda tra sensori e centralina, più dati storicizzati, più spazio per modelli di percezione addestrati su casistiche che fino a ieri non entravano nel perimetro. È qui che in fattore acquisisce sempre più importanza, perché gli errori iniziali sono un ostacolo, è vero, ma l’aggiornamento ambisce a trasformarli in terreno di miglioramento concreto e misurabile.
Sensor fusion senza scorciatoie: come dialogano LiDAR, radar e camere
Approfondendo il discorso sensori, vale la pena sottolineare che la percezione dell’ambiente non è mai una cosa gestita da un solo sensore. Il sensore LiDAR “disegna” profondità e forma in modo fedele anche quando la luce ambientale non è ottimale, il radar misura distanze e velocità in maniera affidabile anche con pioggia e foschia, le videocamere individuano facilmente la segnaletica stradale e molto altro ancora. La vera innovazione sta nell’incastro: unire punti, onde e pixel in un unico contesto, riducendo errori di classificazione soggetti e incertezze sui bordi delle sagome degli oggetti in movimento, ecco dove decide davvero l’algoritmo. È qui che servono potenza di calcolo e modelli addestrati su scenari sia rari che quotidiani, perché un sacchetto spinto dal vento non è un bambino che attraversa la strada e un cono riflettente non è un ostacolo rigido, ma questo il computer di bordo deve capirlo subito e bene, in questi casi non c’è spazio per l’errore.
Nella pratica, la configurazione parte con una sincronizzazione temporale stretta, dove ogni “frame” sensoriale va allineato affinché LiDAR, radar e camere fotografino lo stesso istante, poi si passa al “tracking”: si assegna identità agli oggetti e li si segue frame dopo frame, stimandone traiettorie e intenzioni presumibili. Le reti neurali moderne accorciano la distanza tra dati grezzi e comprensione. È qui che Volvo EX90, spinto dall’hardware rinnovato, può limare i casi limite che spesso mandano in crisi gli ADAS meno maturi.

Ufficio Stampa Volvo
La qualità di una sensor fusion si misura nei momenti non ottimali, come in situazioni dove si è controluce, una pioggia sottile, nevicate importanti, riflessi notturni su asfalto bagnato e cose del genere. Se il sistema “scatta”, frena dove non deve o, peggio, non frena affatto, la fiducia del conducente verso il suo veicolo diminuisce o addirittura scompare del tutto, per questo conta che l’intervento d’emergenza non “discuta” con chi guida ma intervenga con precisione, è fondamentale anche la gestione della corsia che non “ondeggia”, l’ACC che non improvvisa accelerazioni quando chi precede rilascia l’acceleratore. L’integrazione corretta tra i tre sensori minimizza i falsi positivi, il vero tallone d’Achille della guida assistita.
Sul medio periodo, la traiettoria da seguire è chiara: più LiDAR a stato solido con risoluzione crescente, radar imaging capaci di “vedere” forme elementari, camere ad alta dinamica con algoritmi che digeriscono meglio gli abbagli e capiscono la segnaletica più sporca. A bordo, centraline meglio raffreddate e processori più veloci lasciano cammino libero ai modelli generativi di scena, che riempiono i buchi tra una misurazione e l’altra in modo plausibile. È un’altra maniera per dire che l’auto sta imparando a “immaginare” con responsabilità.
In fondo, la sensor fusion è anche un patto: non promette magie, ma robustezza. E quando la catena è solida, ogni nuova funzione si innesta con meno traumi. EX90, sotto questo profilo, non è un’eccezione, anzi un caso da seguire: quando il calcolo cresce, la percezione respira, e guidare diventa più lineare.